Sono affioramenti di storie lontane, tracce di un tempo che ormai nessuno ricorda più, ma che è trascorso ed ha lasciato solchi profondi nella nostra esistenza; noi ne conserviamo ancora intatta la memoria, di cui vogliamo lasciare almeno un' esile traccia; per chi e perché non ce lo vogliamo chiedere, ma ci sembra importante farlo; forse un giorno qualcuno, come è sempre successo, andrà a cercare nel passato, non per ricordare, non per scoprire o riscoprire, solo per conoscere come eravamo noi, quelli che ascoltavano le storie intorno alla tavola apparecchiata o sul canto del fuoco, che parlavano con i vecchi e con i bambini, che raccoglievano le erbe dei campi e i frutti del bosco, che giocavano nelle strade polverose e fra le pietre del torrente e si arrampicavano sugli alberi, sognando un giorno di diventare grandi; così è avvenuto e oggi, sia pure alle soglie della vecchiezza, lo possiamo per fortuna raccontare.
Quello era il mondo in cui siamo nati e cresciuti, piccolo ma immenso, ed era tutto nostro: i campi, il bosco, il torrente, le strade, i viottoli, i macigni, i ruderi; e infine le case coloniche e le ville che punteggiavano le sommità e i declivi delle colline; affioramenti di quel macigno della memoria che ci ha plasmato e condizionato, sul modello di quello autoctono sul quale si appoggiano le antiche fondamenta di quelle case sparse, contornate dalle file di cipressi che ancora si fronteggiano fra i due versanti dell’alta valle del torrente, la Greve, sempre declinata al femminile, come l’antica madre…
Premettiamo una breve presentazione per spiegare come è nato il lavoro cui abbiamo dedicato oltre trenta anni di studi e di ricerca. Sono state riunite in queste pagine anche le introduzioni alle tre edizioni ormai esaurite aggiungendo un titolo ad ognuna, apportati degli aggiornamenti ed inserito nel testo alcune necessarie modifiche per evitare inopportune ripetizioni; ciascuna sezione è preceduta dall'anno di edizione del vocabolario.
Il capoluogo toscano è il centro motore
di una lingua che fin dal Trecento si è rapidamente estesa a tutto il territorio regionale. Del resto il fiorentino, come ricorda Tullio De Mauro, ha avuto una fortuna storica che lo portò a diventare non solo la lingua di una città, ma
di un'intera nazione.
Bencistà, che ha dedicato oltre trent'anni di studi e ricerche sulla parlata di Firenze, ha scelto le voci più rappresentative, tutte documentate nelle opere di autori nati o residenti nella città e nel suo contado:
ci sono Dante e Machiavelli, Augusto Novelli e Ottone Rosai, ma anche Giuseppe Moroni detto il Niccheri e i poeti popolari, fino agli improvvisatori contemporanei.
Questa ultima edizione del vocabolario completa la precedente, uscita nel 2012, con il
recupero di tutte quelle voci prettamente fiorentine che non erano state inserite, e che accrescono il totale fino a circa 4.000, cui vanno aggiunti i 2.200 antichi mestieri fiorentini registrati nel censimento granducale del 1841.
Dieci anni di incontri con l'AUSER di Montelupo
(a cura di Alessandro Bencistà)
Questo volume raccoglie i testi di dieci anni di incontri sulle tradizioni popolari toscane organizzati dall'Auser di Montelupo dal 2010 al 2019 e condotti da Alessandro Bencistà, che ne ha curato la presentazione e la ricerca storica, e Alessandro Scavetta che ha eseguito i canti e le musiche accompagnandosi con la chitarra e la fisarmonica.
L'edizione cartacea della ricerca ha il fine di documentare un lavoro capillare sul folklore toscano (serenate, fiabe, canzoni narrative, canti sacri etc.) in modo che niente di quanto è stato esposto in questi dieci anni possa andare perduto; in tutto si tratta di trenta serate a tema in cui si affronta un panorama pressoché completo della tradizione poetica e musicale, a partire dalle origini fino all'età contemporanea, soffermandosi sui principali esponenti, da Antonio Pucci a Lorenzo il Magnifico, da Francesco Baldovini ad Anton Francesco Menchi, fino ai protagonisti del Novecento, come Caterina Bueno e Riccardo Marasco.
Una particolare attenzione è stata dedicata anche ai momenti storici più salienti, in cui l'intervento del popolo ha lasciato col canto profonde tracce che hanno portato alla presa di coscienza politica, alla protesta sociale e alle dolorose esperienze dell'emigrazione di massa; la storia si fa anche coi canti e ne sono testimonianza le ponderose raccolte del Risorgimento, della Prima Guerra Mondiale, fino alla Resistenza, che assumono valore di documento storico affatto trascurabile.
Un ringraziamento particolare al pubblico che ci ha seguito con calorosa partecipazione e a cui dedichiamo questo lavoro.
ANTOLOGIA TOSCANA - Nuova collana diretta da Alessandro Bencistà e gli altri libri e collane dello stesso autore.
Dalla terra di Vinci fiorentino, L'improvviso di Natale Masi (a cura di Alessandro Bencistà) - con CD allegato
Ed. Centro Studi Tradizioni Popolari Toscane, 2018 Scandicci
Questo volume contiene parte della produzione, scritta ed improvvisata da Natale Masi, vecchie registrazioni dal vivo fatte in occasione di feste dell'Unità o altre manifestazioni calendariali.
Da questi documenti, abbiamo avuto la certezza di quanto sia stato importante nel passato quel significar per verba, per usare una nota locuzione dantesca. Ci sono tracce di arcaica sapienza con cui il poeta illetterato riusciva a rendere le immagini e gli accadimenti storici del suo tempo, non solo essenziali e concreti ma presentati con la sobrietà di una saggezza popolare e contadina che affiora in ogni verso, donando un valore aggiunto alla sua poetica, sia che si tratti di versi improvvisati, che scritti in poveri fogli mentre tentava di sfuggire alle sanguinose rappresaglie dell'ultimo conflitto. Un documento che assume rilevanza letteraria e storica è la corrispondenza con la fidanzata Ginetta, dove emerge una rara e inaspettata citazione dantesca, dal Convivio, non dalla Commedia. Mentre nei momenti più difficili vissuti alla macchia, cerca di consolare l'amata esposta alla dilagante violenza: "vorrei vederti un momento per vedere la tua faccia timida che tanto ai paura di cueste cose".
Quei poveri fogli scarabocchiati d'inchiostro ci riconsegnano come una reliquia parole che ancora riescono a commuoverci; e scopriamo, noi "uomini strutti", di avere ancora una volta tanto da imparare da questa antica, povera cultura contadina.
ANTOLOGIA TOSCANA - Nuova collana diretta da Alessandro Bencistà n.2
Storie di carbonai in ottava rima, (a cura di Jean Pierre Cavaillé e Alessandro Bencistà)
Ed. Centro Studi Tradizioni Popolari Toscane, 2017 Scandicci
Partendo da alcuni fogli autografi che ci fece avere Dino Petri e in cui erano state trascritte da Flavia Bucci, ultima esponente di una famiglia di carbonai, le venti ottave del famoso lamento, ci recammo a Baggio, paese natale di Flavia, per tentare di ricostruire, intervistando il fratello Piero, l'origine di questo canto che era ormai diventato un testo poetico, cantato o recitato, diffuso in tutta la Toscana, arrivato addirittura in Francia dove esistevano comunità di carbonai che ne avevano conservato e trasmesso la memoria.
È stato un antropologo francese, Jean Pierre Cavaillé, che ha ritrovato altre tracce intervenendo a sua volta sulla vita dei carbonai emigrati nella sua regione (Limousin e Albigeois); da qui il recupero di altri due canti che ne raccontano in versi il lavoro e le condizioni di vita: Il fuoco Corso pietoso e rio e Il servitore de’ carbonai detto Mèo, pubblicati nel 1929 dal carbonaio Realdo Tosi in un libretto ormai irreperibile.
Testi che, come documentiamo, non erano affatto sconosciuti nella Toscana, dal Casentino e alla Maremma, e in particolare nella montagna pistoiese, da cui provenivano la maggior parte dei carbonai; ed è proprio la città di Pistoia che produce e conserva ancora oggi la maggior parte delle ricerche su questo mestiere oggi pressoché scomparso.
Con questo lavoro abbiamo voluto riunire in un'unica edizione quei tre importanti testi poetici, rispettando rigorosamente la trascrizione delle ottave originali, prima che se ne perdesse la memoria; abbiamo solo aggiunto i bei disegni a penna di Dino Petri ed un essenziale glossario sull'ambiente e gli attrezzi di lavoro riguardanti l'attività, non ancora estinta, del mestiere di carbonaio.
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LA CASA DEL POPOLO DI GREVE IN CHIANTI 1956-2016 (a cura di Alessandro Bencistà)
EDIZIONI POLISTAMPA, 2016 Firenze €. 15,00
Sono passati sessanta anni da quando sono state poste le prime pietre per la costruzione della sede attuale della Casa del Popolo di Greve. Sessanta anni di storia che a livello nazionale, europeo e mondiale hanno visto innumerevoli cambiamenti dal punto di vista politico, sociale e culturale. Sessanta anni di storia locale che hanno portato mutamenti anche nel contesto più ristretto del paese di Greve che è cresciuto sia strutturalmente che socialmente.
Le poche case che contornavano la Casa del Popolo negli anni Cinquanta sono diventate molte, il paese ha adesso dimensioni notevoli. Le persone che abitano a Greve sono aumentate, ma all'interno di questi grandi cambiamenti resta un punto fermo nella vita dei grevigiani: la Casa del Popolo.
Con questa edizione ampliata ed aggiornata del volume edito nel 1994 il Presidente e il Consiglio Direttivo intendono ringraziare chi allora ha dato alle stampe il primo libro che celebrava la Casa del Popolo facendo sentire viva e attiva questa Associazione nella vita quotidiana del paese di Greve e intende anche ringraziare le persone che oggi si impegnano e dedicano il loro tempo per far vivere ai giovani, agli adulti e agli anziani momenti di accoglienza e di incontro per favorire lo scambio di opinioni, di idee e di ideali nei locali storici della Casa del Popolo...
La Casa del Popolo, voluta sessanta anni fa da un gruppo unito di volontari, cresciuta all'insegna dei valori dell'amicizia e della partecipazione, continua ancora oggi il suo cammino con spirito di accoglienza e condivisione, apre le porte a chiunque voglia portare idee, mettere a disposizione il suo tempo libero per stare con gli altri e costruire insieme un futuro migliore per tutti.
Il Presidente e il Consiglio della Casa del Popolo di Greve
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ANTOLOGIA TOSCANA, Nuova collana diretta da Alessandro Bencistà n.1
LA CASTELLANA DI VERGI Il poema francese del XIII secolo e la riduzione in ottava rima che si cantava nella Firenze del Trecento
IL PRIMO POEMETTO IN OTTAVA RIMA DI UN CANTASTORIE
Introduzione, traduzione e note a cura di ALESSANDRO BENCISTA'
Centro Studi Tradizioni Popolari Toscane, 2016 Scandicci .
Il tema del fin amour è uno dei più cantati in quella primavera della lirica francese che occupa uno degli spazi più importanti della rinascita culturale europea, dopo la lunga parentesi dei secoli cosiddetti bui, in cui la guerra prevale sull'amore. La storia della Castellana di Vergi è una delle più alte testimonianze della poesia trobadorica, la tragica storia travalica i confini della regione in cui fu scritta verso la metà del XIII secolo ed ebbe ampia diffusione anche con numerose illustrazioni iconografiche sparse per l’Europa; fra queste, soltanto a Firenze, i cofanetti d’avorio del Museo Nazionale e l’affresco della camera degli sposi in Palazzo Davanzati.
Posteriore di circa un secolo la versione fiorentina in ottava rima, che non ha una datazione precisa ma sicuramente, per i riferimenti alla Commedia dantesca e la citazione alla fine della terza giornata del Decameron, la si può collocare fra il 1320 e il 1350, il primo esempio di poemetto popolare in ottava rima, le cui stanze ebbero una diffusione che possiamo definire "di massa", ritagliandosi un notevole spazio fra un attento pubblico avido di storie, non solo nelle piazze di Firenze.
Il grande Boccaccio, cui si devono i primi esempi eruditi in ottava rima, non manca di rendere omaggio all'anonimo cantastorie con la citazione nel suo capolavoro: "cominciarono a cantare di messer Guiglielmo e della Dama del Vergiù"; da allora inizierà un'epoca in cui il càntare in ottava rima, divenuto "poema", raggiungerà vertici impensabili, sommergendo la terzina dantesca per poi sopravvivere fin quasi all'epoca contemporanea.
In questo volume riproponiamo per la prima volta le due storie in successione, il testo del càntare francese originale con traduzione a fronte in versi, di seguito la versione fiorentina con la riproduzione integrale del codice quattrocentesco della Biblioteca Moreniana di Firenze.
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Alessandro Bencistà - Ambra Ceccarelli, A TAVOLA APPARECCHIATA I custodi della tradizione nella cucina quotidiana: dal fattore Oliviero a nonna Giuditta, sarnus ed. Firenze 2015.
Questo lavoro nasce dal bisogno di fermare su carta quella che è stata una costante della nostra piccola famiglia: babbo Sandro, mamma Ambra, figlia Manuela che col suo arrivo ha allietato e condizionato l’intera nostra esistenza; quasi una vita intera trascorsa insieme e che, pur separati durante l’attività lavorativa, ci vedeva tutti i giorni riuniti a mensa per il consumo dei due pasti quotidiani, il momento più intimo e più importante della nostra [com]unione.
Ci stiamo avvicinando rapidamente al mezzo secolo di vita in comune e ci siamo accorti di non poter fare a meno di raccogliere in un libro le più tradizionali ricette che ancora vengono consumate sulla nostra tavola rigorosamente apparecchiata, due volte al giorno, a desinare e a cena; sempre nella stesso posto, con le stesse stoviglie, lo stesso vino, lo stesso pane cotto nel forno a legna; consumazione di un rito che da millenni è sempre uguale e immerso in una sacralità solenne come l’evangelica cena; con poche mutazioni: il telegiornale che si mescola con le nostre conversazioni, gli orari spostati in avanti di un’ora o due, non più il mezzogiorno e le prime ombre della sera, ma seguendo il ciclo diverso dell’attività lavorativa, che non ha più nella terra il suo punto di riferimento ma che sempre alla terra rimanda, a quella cultura antica che ci ostiniamo a chiamare civiltà.
In questo libro ci occuperemo soltanto dell’alimentazione familiare che ci ha accompagnato fin dalla più tenera infanzia, mettendo al centro delle principali attività quotidiane la cucina con tutte le faccende che ci fanno capo, dalla preparazione dei cibi, all’apparecchiatura, alla rigovernatura, non tralasciando di accennare alla conversazione che nei momenti più disparati diventa colloquio, educazione, economia, ed anche storia.
Quando incominciavamo a prendere coscienza del nostro stato di bambini affamati ci siamo subito imbattuti nelle usanze alimentari della tradizione, che erano ancora le stesse dei nostri genitori e dei nostri nonni, usanze che ci hanno subito segnato e ancora oggi che siamo vecchi ci accompagnano e ci condizionano.
Di questo vogliamo parlare, cercando di recuperare, se non di far rivivere o sopravvivere un mondo che è ormai scomparso, ma crediamo possa ancora offrire dei valori ingiustamente dimenticati, non a noi che ormai siamo vecchi ma ai nostri figli e ai nostri nipoti, se lo vorranno.
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Alessandro Bencistà (a cura)
RICETTE FIORENTINE DEL TRECENTO ovvero: La cucina ai tempi di Dante
Presentazione di Dario Cecchini
Libreria Chiari - Firenze Libri 2014 (I ed. 2001) €. 9,81
II EDIZIONE
In questo volume sono riuniti due frammenti, derivati da un libro di cucina trecentesco, che sono giunti fino a noi. Si tratta di due codici manoscritti conservati, uno presso la Biblioteca Ricciardiana di Firenze, l’altro all’Università di Bologna. Ambedue furono pubblicati alla fine dell’Ottocento in due libretti di nozze che i ricercatori, Salomone Morpurgo e Olindo Guerrini, offrirono rispettivamente ad Augusto Franchetti e Giosuè Carducci in occasione del matrimonio delle loro figlie Luisa e Laura.
Ampiamente studiati ed analizzati da illustri studiosi, i due frammenti non erano mai stati pubblicati in un’edizione divulgativa (l’usanza di offrire libretti di nozze ai parenti era assai diffusa in passato fra le classi colte ed agiate, ma di solito per queste edizioni non si superavano le cento copie di tiratura). Crediamo di aver colmato questa piccola lacuna offrendo al cultore odierno un piacevole libretto di arte culinaria che, se non lo aiuterà a realizzare un pranzo rispondente ai raffinati gusti dell’epoca contemporanea, lo aiuterà a gustare, come scrisse Salomone Morpurgo, “la ottima lingua di quella cucina”, che l’ignoto scrittore fiorentino ha imbandito per noi.
Se questa era la cultura di un cuoco, sia pure di una nobile e ricca famiglia, non c’è da meravigliarsi del primato culturale, artistico ed economico che la città di Firenze raggiunse in quei secoli.
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Eugenia Levi, FIORITA DI CANTI TRADIZIONALI DEL POPOLO ITALIANO (TOSCANA) - Nuova edizione a cura di ALESSANDRO BENCISTA', Centro Studi Tradizioni Popolari Toscane, Scandicci 2013.
Finalmente ristampata questa raccolta di canti tradizionali toscani che comprende la prima delle regioni indagate da Eugenia Levi per la sua Fiorita di canti tradizionali del popolo italiano pubblicata dall’editore fiorentino Bemporad nel 1895; un testo ormai introvabile che è un piccolo gioiello della letteratura folcloristica italiana; stampato in un elegante volume in sedicesimo con coperta espressamente disegnata dall’autrice riporta una scelta di canti fra i più belli e significativi della nazione. Occorre segnalare fra i pregi del volume la presenza in tutto il percorso di alcune musiche originaliche accompagnano i testi, ben cinquanta esempi, dalla Toscana alla Sardegna.
Per avere una pubblicazione simile che comprenda un’ampia antologia della canzone popolare italiana composta nei vari dialetti bisognerà attendere ancora sessanta anni e il Canzoniere Italiano di Pier Paolo Pasolini (1955) che, nonostante la cura e l’approfondito studio che il poeta ne fece per l’editore Guanda, elimina dal suo lavoro le musiche che invece la Levi inserisce facendone una selezione abbastanza ampia.
La nuova edizione, curata da Alessandro Bencistà ed edita dal Centro Studi Tradizioni Popolari Toscane, ripropone integralmente la sezione dedicata alla Toscana, completamente ristampata con un’introduzione, le tavole delle melodie originali e una scheda biografica sull’autrice con la completa bibliografia dei suoi scritti.
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Alessandro Bencistà, IL VOCABOLARIO DEL VERNACOLO FIORENTINO E TOSCANO, sarnus ed. Firenze 2012.
La nostra idea di un Vocabolario del vernacolo fiorentino e toscano ha inizio con la frequentazione delle tradizioni popolari della regione: poesia estemporanea, canti folcloristici, teatro in vernacolo; sono questi i grandi contenitori delle parlate vernacole che in alcune aree possono essere definite veri e propri dialetti, come recita il titolo di alcune raccolte che abbiamo consultato (Lunigiana, Pàvana,Treppio, Valdichiana).
La base del vocabolario resta tuttavia il vernacolo fiorentino perché non si può non considerare la capitale della Toscana come il centro motore di una lingua che fin dal Trecento si è rapidamente estesa a tutto il territorio regionale. Quella fortuna storica del fiorentino, come ebbe a definirla Tullio De Mauro, che portò la lingua di Dante a diventare non solo la lingua di una città ma di un’intera nazione.
Le voci che noi abbiamo scelto come le più rappresentative della parlata fiorentina sono quasi tutte documentate nelle opere di autori nati o residenti nella città e nel suo contado; ci sono Dante e Machiavelli, Augusto Novelli e Ottone Rosai, ma anche il Niccheri, Gino Ceccherini e Elio Piccardi.
Le altre aree della Toscana non possono minimamente vantare un numero così vasto di autori ma nei trenta dizionari che abbiamo sfogliato (oltre 100.000 lemmi) sono presenti quasi tutte le voci del nostro, tanto da coprire l’intera area regionale, dall’Argentario alla Lunigiana e dall’Elba al cortonese; senza trascurare i piccoli centri dell’Appennino come Pàvana e Treppio che gravitano verso l’ Emilia.
Ecco perché possiamo parlare non di una ma di diverse Toscane, ognuna con un suo patrimonio culturale di tradizioni, di usanze e di dialetti. Da queste diverse Toscane siamo partiti per arrivare alla compilazione del presente volume.
La scelta delle voci è un viaggio nella memoria che nasce da una profonda conoscenza del mondo in cui siamo cresciuti, insieme ai nonni, ai contadini, alle massaie; di quel mondo conserviamo ancora viva non solo l’immagine, ma anche le amicizie, gli affetti oltre che i nostalgici ricordi. Molti dei lessicografi consultati dichiarano che per la compilazione del loro vocabolario hanno avvicinato gli informatori e li hanno interrogati recuperando e documentando migliaia di voci che stavano scomparendo; noi (ma non siamo i soli) non abbiamo avuto bisogno di interrogare (i nonni, i contadini, le massaie…), per esperienza di vita e per età anagrafica noi siamo i nonni, i contadini, le massaie; quando siamo arrivati nell’Università il nostro patrimonio linguistico e la conoscenza dell’ambiente che ci ha cresciuto era compiuta. Ma per la nostra presenza nella scuola, quasi venti anni da discepoli e quarantacinque da docenti, siamo anche i giovani, da loro abbiamo appreso un’altra lingua e insieme altre forme di comunicazione, facendone tesoro; e questo è un valore aggiunto.
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Francesco Chierroni, VITA DELLA GRAN POETESSA BEATRICE e sue poesie cantate insieme col poeta Francesco Chierroni e viaggio di lui che mitologicamente figura di andarla a trovare in Paradiso con aggiunta ancora della di lui vita tutto in ottava rima.
A cura di Jean Pierre Cavaillé e Alessandro Bencistà
SEMPER Ed. Firenze, 2011
Può meravigliare il fatto che Francesco Chierroni, poeta improvvisatore di umilissima estrazione sociale, affrontato, umiliato e sconfitto da una poetessa, sia pure “famosa” come Beatrice Bugelli (si racconta lo avesse definito in un contrasto con l’appellativo “cigno stanco”), abbia pochi anni dopo immaginato una breve e sintetica versione montanara della Commedia, che in comune col poema dantesco ha soltanto il nome della musa ispiratrice; va apprezzato comunque il tentativo poetico del buon Francesco, che dimostra nei suoi poveri versi, oltre ad un bagaglio di letture non certo banali, di aver ben assimilato il poema divino, una fatica di studio che lo porta a dire della Beatrice pistoiese “quello che mai non fue detto d’alcuna”. Un’introduzione all’argomento è già dichiarata nel lungo titolo, VITA DELLA GRAN POETESSA BEATRICE E SUE POESIE CANTATE INSIEME COL POETA FRANCESCO CHIERRONI E VIAGGIO DI LUI CHE MITOLOGICAMENTE FIGURA DI ANDARLA A TROVARE IN PARADISO CON AGGIUNTA ANCORA DELLA DI LUI VITA TUTTO IN OTTAVA RIMA.
Il poemetto, stampato quasi certamente a sue spese dalla tipografia Fantozzi nel 1901 è dedicato alla Signora Teresa Filangieri Ravaschieri, duchessa e letterata napoletana, che nel suo libro di ricordi, L’Abetone Pistojese e le sue speranze, aveva dedicato un lungo capitolo a Beatrice Bugelli e dettato l’iscrizione sulla lapide di marmo nel cimitero di Pian degli Ontani.
Questo raro libretto ebbe soltanto una seconda edizione fiorentina nel 1937 e merita oggi di essere riproposto agli amanti dell’ottava rima in un’edizione aggiornata con apparato di note esplicative e la approfondita introduzione antropologica che mette in evidenza l’aspetto psicologico e umano dei montanini pistoiesi che, pur illetterati ed autodidatti, seppero ritagliarsi uno spazio significativo nella cultura popolare di fine Ottocento.
Jean-Pierre Cavaillé è uno storico francese di provenienza albigese (1959), domiciliato nel vicinato di Limoges. Attualmente insegna presso l'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales a Parigi ed è membro del Groupe de Recherches Interdisciplinaires sur l'Histoire du Littéraire (GRIHL). Buon conoscitore della lingua italiana, negli ultimi anni si è avvicinato ai poemetti in ottava rima e all’improvvisazione poetica toscana intervenendo agli Incontri di poesia estemporanea di Ribolla (Gr) e collaborando attivamente alla rivista TOSCANA FOLK.
Alessandro Bencistà (Greve in Chianti 1941) è Presidente del Centro Studi Tradizioni Popolari Toscane e direttore della rivista TOSCANA FOLK.
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Niccolò Tommaseo, CANTI POPOLARI TOSCANI, Nuova edizione a cura di Alessandro Bencistà, Semper ed. Firenze 2010 €. 19,50
Questa nuova edizione del Canti popolari toscani di Niccolò Tommaseo si stampa ad un secolo e mezzo di distanza dalla prima, uscita in venti fascicoli presso il tipografo veneziano Girolamo Tasso nel 1841-1842.
L’opera completa, a cui aveva lavorato intensamente il grande scrittore dalmata, è composta da quattro volumi, ai canti toscani si aggiunsero poi quelli còrsi, gli illirici e i greci, fra i quali solo gli ultimi due ebbero edizioni separate nel corso degli anni (i greci nel 1905 e 1939, gli illirici nel 1913).
Ci è sembrato doveroso, con la pubblicazione di questo volume, riempire un vuoto che teneva lontano i cultori e gli appassionati di folklore toscano dalla conoscenza della più antica ed importante raccolta di canti popolari della loro terra, che è anche un essenziale punto di riferimento per le ricerche avvenute nei decenni successivi, in Toscana e in tutte le altre regioni italiane.
Tommaseo, che a Firenze trascorse gli anni della giovinezza e poi scelse la città come residenza definitiva, amava profondamente il popolo toscano, ne studiò con dedizione assoluta e incessante la cultura, le tradizioni e la lingua, cui dedicò le opere più impegnative della sua immensa produzione letteraria: il dizionario dei sinonimi, il commento alla Divina Commedia, i canti toscani, il dizionario della lingua italiana; noi gli dobbiamo questo riconoscimento e il nostro lavoro vuole essere anche un mezzo per far conoscere ad un pubblico più vasto la sua fatica di demologo, che resta ancora oggi un essenziale punto di riferimento e di partenza per chi voglia inoltrarsi nell’affascinante campo del folklore italiano.
Anche perché col più recente recupero della tradizione folclorica avvenuta nella seconda metà del Novecento, ci siamo accorti che tutti i maggiori interpreti del canto popolare toscano hanno inserito nel loro repertorio brani estratti dalla sua copiosissima ricerca sul campo, da Alfredo Bianchini, Narciso Parigi e Paolo Poli che ne sono stati i precursori, fino a Caterina Bueno, Riccardo Marasco e Dodi Moscati che ne hanno seguito le tracce; loro sono stati i protagonisti di una delle più felici stagioni della musica popolare.
Ma il popolo ha ancora voglia di cantare? Noi vogliamo dare una risposta affermativa, per questo ci siamo impegnati a fondo nella nuova edizione della raccolta e crediamo con la nostra fatica di ri-suscitare nelle nuove generazioni l’interesse per queste dimenticate memorie della cultura popolare toscana che rischiano di restare sommerse dalla ormai dilagante espansione delle tradizioni “barbare” che, non lo dimentichiamo, hanno anche una forte impronta nella cultura dell’oralità mediterranea, basta pensare all’accostamento fra il rap e il canto di improvvisazione che in Toscana è nato e si è diffuso e in Toscana trova ancora i suoi appassionati cultori. E questo ha un suo grande valore.
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Alessandro Bencistà
L’OTTAVA CONTINUA
Libreria Chiari ed. Reggello 2009
Questa raccolta di rime occasionali dal contenuto giocoso, riunisce il nostro modesto contributo alla storia del contrasto poetico; il sottotitolo varie storie lo prendiamo da uno dei nostri più frequentati poeti popolari: Antonio Pucci, l’inventore del contrasto in ottava rima, il poeta campanaio a cui dobbiamo la grande diffusione che quel metro ebbe dalla metà del Trecento fino ai bernescanti del nostro secolo (Ceccherini, Piccardi, Logli ecc.). A loro e a tutti gli altri che abbiamo conosciuto e frequentato, il nostro doveroso inchino e il ringraziamento per averci condotto per mano fino ad oggi, permettendoci di imparare e assimilare il modulo e lo spirito della poesia estemporanea e alla fine di restituire valore, oltre che conservare quasi interamente, non solo quella cultura dell’oralità che era sul punto di scomparire, ma anche quell’italum acetum che ha sempre pervaso la poesia giocosa toscana.
Abbiamo fatto tesoro di quella tradizione popolare antica e, anche se non improvvisiamo, ci dilettiamo di lavorare ogni volta che capita l’occasione con l’endecasillabo e con l’ottava, che riempiamo di citazioni antiche colte e popolari, alla loro maniera. Del resto nell’uso di questo metro ci avevano preceduto sommi poeti che ricordiamo con religiosa deferenza: da Giacomo Leopardi a Niccolò Tommaseo, da Giuseppe Giusti a Ferdinando Paolieri; le loro scorribande nel campo dell’ottava ci sembrano una bene appropriata attenuante per giustificare il nostro ardire poetico.
E ci piace affermare, come ha suggerito l’amico Giovanni Kezich, che l’ottava continua, nonostante i grandi fratelli e i talk show, gli sberci insulsi di certi cantori contemporanei, i fragori assordanti delle buie arene notturne.
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Alessandro Bencistà,
NUOVO VOCABOLARIO DEL VERNACOLO FIORENTINO
Terza edizione rinnovata e accresciuta
Firenze Libri ed. Reggello, 2009
A otto anni dalla prima uscita (2001) esce anche in formato lusso ed accresciuta di circa mille voci questa nuova edizione del vocabolario, che documenta, lungo un arco di circa sette secoli, la parlata fiorentina ancora viva nell’area geografica della città e della provincia. Quasi tutte le voci sono documentate con esempi tratti da autori o da fonti di natura diversa, sempre registrate nella stessa area. La nostra presunzione è dimostrare che il vernacolo fiorentino non è una lingua scomparsa, ma c’è ancora una grande parte della popolazione che lo parla, scrittori e drammaturghi che lo utilizzano nelle loro opere, poeti che lo cantano, attori che lo recitano.
Nell’epoca della globalizzazione imperante (senza per questo rinunciare alla conoscenza dei nuovi linguaggi mediatici come l’uso dei segni e delle abbreviazioni negli SMS scambiati con i telefonini) noi continuiamo ancora a frequentare le botteghe tradizionali, i mercati ambulanti, i poeti in ottava rima, il teatro dilettante della periferie, imparando sempre qualcosa di nuovo; insegnando anche, quando ci capita l’occasione (cioè sempre), la parlata dei nostri avi, specialmente nella scuola, dove i giovani conoscono le più moderne espressioni dei vari social network come you tube e face book, ma ignorano cosa siano il bacìo e il roventino, non parliamo poi della martinicca e dell’abburatto. Noi tuttavia abbiamo tenuto conto anche del loro linguaggio, comprese le recenti voci del gergo contemporaneo documentate in qualche foglietto vagante fra i banchi, magari strappato con un finto atto di forza dalle mani dei nostri recalcitranti allievi. Non siamo i primi né saremo gli ultimi a lamentare la rarefazione della parlata avita; Giovanni Pascoli, all’inizio del secolo scorso, si era già accorto di questa mutazione, quando scriveva nell’introduzione ad una sua antologia per le scuole secondarie inferiori: “E intanto la scuola, se anche non vuole insegnare quelle parole proprie e miracolose, non s’ingegni almeno di farle dimenticare".
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Alessandro Bencistà
LA COMMEDIA FIORENTINA IN VERNACOLO
I teatri e i principali autori dalle origini a oggi
Sarnus ed. Firenze 2008
Questa breve storia della commedia fiorentina in vernacolo, genere che in un passato non troppo remoto ha goduto d'enorme popolarità anche oltre la cerchia delle mura fiorentine, nasce anzitutto dall'esigenza di non far dimenticare una lingua antica e illustre: quel volgare trecentesco che Ferdinando Paolieri evoca nell'introduzione a I’ Pateracchio, ancora rintracciabile nella parlata quotidiana delle genti del contado. In più, grazie soprattutto ad Augusto Novelli, il più celebre d'una nutrita schiera di drammaturghi, la commedia vernacolare ci tramanda l'immagine nostalgica d'una Firenze popolata d'artigiani e bottegai, mamme e fidanzate, coi loro piccoli, quotidiani drammi domestici. Oggi quella città, quel mondo e quella gente non esistono quasi più, scomparsi come molti teatri popolari un tempo gremiti di pubblico. Con questo lavoro ci auguriamo d'offrire uno stimolo a mantenere viva una tradizione che ci ostiniamo ancora a frequentare, restituendo alla memoria, accanto ai nomi più celebri, quelli d'autori oggi quasi dimenticati, come Nando Vitali, Giulio Svetoni, Ugo Palmerini, Giuseppina Viti Pierazzuoli, Virgilio Faini e molti altri.
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Florio Londi
LA VERGINE RIMA
poesie giovanili
(a cura di Alessandro Bencistà)
sarnus Ed. Firenze, 2007 €. 12,50
Questo libro, voluto dal Comune di Carmignano e dalla Provincia di Prato, celebra i dieci anni dalla scomparsa di Florio Londi, fra i maggiori poeti estemporanei della seconda metà del Novecento nonché autore di due volumi di poesie e un romanzo breve oggi introvabili (L’età che non ebbi, l’età che non amai, Ibiskos ed. 1° premio di Poesia “Città di Empoli” 1986; Canto brado, poesie, Ibiskos ed. 1992; Come ciliegio di bosco” romanzo breve, Ibiskos 1995).
Si tratta di un'antologia di liriche inedite che erano state scritte in un quaderno nei primi anni Cinquanta; due quaderni scolastici a copertina nera dove le poesie, quasi tutte con titolo, sono ordinate secondo il metro, la maggior parte sonetti, ma anche quartine, ottave, endecasillabi sciolti.
La stesura delle liriche è quella definitiva e lascia trasparire un assiduo lavoro di lima prima della trascrizione da fogli occasionali, come era abitudine di Florio, che anche la notte teneva sempre carta e penna a portata di mano, come ci ha riferito la moglie Alighiera.
Il titolo, La vergine rima, è tratto da una delle ultime poesie del primo quaderno, e testimonia la devozione del poeta a quella invenzione che Oscar Wilde, sessanta anni prima, descrisse in uno dei suoi saggi critici: “La rima, quell' eco squisita che risponde alla voce che essa stessa crea nelle vuote colline della Musa, la rima, che nelle mani del vero artista diviene non solo un elemento materiale della bellezza metrica, ma anche un elemento spirituale di pensiero e passione, .... la rima che può trasformare le parole di un uomo in discorso divino; la rima, la sola corda che abbiamo aggiunto alla lira greca…”.
L'aspetto più originale di questa raccolta giovanile è però la lingua, quella parlata rusticale che il poeta maneggia con rara maestria, senza porre nessuna attenzione alla grammatica e alla sintassi, che in Toscana è insita nel linguaggio quotidiano.
In appendice sono riportate alcune registrazioni di una serata estemporanea svoltasi a Carmignano e mai pubblicata, fra cui un contrasto improvvisato con Roberto Benigni, che lo considerava come un suo antico "maestro".
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Alessandro Bencistà
L MAIALE DALL’ARISTA ALLO ZAMPONE
Con la versione integrale de
L’ECCELLENZA ET TRIONFO DEL PORCO di Giulio Cesare Croce,
Edizioni POLISTAMPA, Firenze 2007, €. 12,00
Questo libro nasce in Chianti, esattamente a Greve dove l’autore è nato e ha vissuto quasi cinquanta anni, e prima di lui hanno ci vissuto i suoi avi, naturalmente macellai e norcini di mestiere. Da Greve e dalla Toscana (oltre che dalla famiglia) provengono molte delle ricette, delle voci, delle tradizioni che riguardano la nostra amata bestiola (soprattutto se ben cucinata).
È questo sapore d’antico della campagna toscana, sapore di terra e di prodotti ruspanti che ci ha interessato, di poesia popolare e di storie veriste; una mescolanza di temi che andrebbero proposti uno alla volta tanto vasta è la materia; ma c’è il punto di convergenza che accomuna tale varietà ed è lui, il protagonista, il divo: il maiale appunto.
E divo significa divino, come la dea Maia, la più bella delle sette Pleiadi, le figlie del titano Atlante, che amata da Zeus generò Ermes. I romani le consacrarono il mese di maggio, le sacrificavano dei suini che da lei furono detti anche maiali.
E del maiale c’è tutto: le razze, la macellazione, i tagli, gli insaccati, le ricette più popolari, da quelle del romano Apicio fino al Pagni di Greve, passando attraverso Franco Sacchetti e Luigi Pulci. Ovviamente la tradizione fiorentina prevale in quasi tutte le pagine, specialmente le variazioni sul tema in poesia, quasi sempre giocosa, su cui si sono cimentati i letterati della “piccola antologia porchesca” che è una delle parti più godibili: Anton Francesco Grazzini, Domenico Somigli, Pirro Giacchi; antologia chiusa da “Canituccia”, lo struggente racconto verista di Matilde Serao.
Ma Bencistà, che è un appassionato cultore delle tradizioni, ha voluto chiudere il suo lavoro con un altro gioiello della letteratura popolare: la versione integrale de “L’eccellenza et trionfo del porco”, discorso piacevole di Giulio Cesare Croce (il cantastorie bolognese conosciuto soprattutto per “Le sottilissime astuzie di Bertoldo”); un testo pochissimo stampato e quasi mai in edizioni popolari come questa.
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Collana COSE FIORENTINE E TOSCANE
Antonio Pucci - L’ALLUVIONE DELL’ARNO NEL 1333 e altre storie popolari di un poeta campanaio, a cura di Alessandro Bencistà, FirenzeLibri Ed. 2006
Abbiamo riproposto in questa nostra antologia alcune delle più celebri opere del poeta e cantastorie fiorentino Antonio Pucci, a cominciare dal giovanile sirventese sulla grande inondazione di Firenze del 1333 causata dallo straripamento dell’Arno, poi ricomposto in terzine dantesche traducendo la Cronica di Giovanni Villani. Non manca il sirventese sulle meraviglie del Mercato Vecchio, quello sulle belle donne di Firenze e il contrasto delle donne in ottava rima, fra i primi componimenti di quel genere destinati ad una grande fortuna. Completano la raccolta la canzone della vecchiezza, il capitolo morale contro i vizi e le usanze biasimevoli e i dodici sonetti sull’arte del dire in rima.
Non per riscoprire, ma per riportare all’attenzione del lettore contemporaneo un autore e un’opera che ha interessato e coinvolto una larga fascia di pubblico, che ha diffuso capillarmente le sue storie ad un livello di penetrazione tale che oggi chiameremmo di massa. Siamo consapevoli che i cantastorie non esistono quasi più, che le storie di oggi si raccontano per immagini e si diffondono via etere, che la poesia (popolare o colta) è ormai un fenomeno in via d’estinzione che interessa pochi addetti ai lavori; crediamo che anche il vecchio Giosuè Carducci, se potesse riscrivere la conclusione del suo celebre sonetto dedicato a Dante, prenderebbe atto che sono morti sia Giove che l’inno del poeta. Ma noi continuiamo a preferire questi vecchi cantori, a leggere ancora le loro storie lasciando ai contemporanei i grandi fratelli, le isole dei famosi e gli emmepitre supercompressi.
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PIA DE’ TOLOMEI, LEGGENDA ROMANTICA DI B.SESTINI, PRECEDUTA DA UNA NOTIZIA SULLE MAREMME TOSCANE”,
(a cura di A.Bencistà)
Firenze-Libri ed. Reggello 2005, €. 13,00
Con questo titolo gli editori Ferdinando e Gaetano Chiari mandarono alle stampe una delle più belle ed amate leggende del Medio Evo toscano. L’autore è il pistoiese Bartolomeo Sestini, poeta e patriota vissuto a cavallo dei secoli XVIII e XIX, durante l’avventura napoleonica e scomparso giovanissimo a Parigi, dove si era rifugiato esule, nel 1822. La sua “leggenda romantica” in ottave ebbe fin dalla prima edizione una diffusione straordinaria, non solo in Toscana. In pochi anni la storia di Pia de’Tolomei, la sventurata fanciulla senese resa immortale dagli ultimi versi del V canto del Purgatorio dantesco, venne ovunque divulgata in parecchie edizioni e raccolte di poesie, facili ad essere acquistate da tutti per la tenuità del prezzo; in più furono scritte tragedie, bruscelli, maggi drammatici, romanzi che ancora oggi hanno un loro pubblico.
Si tratta della prima leggenda in ottave, altre ne seguiranno. Mancava tuttavia un’edizione pregiata e curata con arte, finché gli editori fiorentini accogliendo “le magnanime ed efficaci sollecitudini di un PRINCIPE” non provvidero a stampare la bellissima e pregiata edizione del 1846, accresciuta di una “notizia sulle maremme toscane” e una carta geometrica, che Pietro Thouar aggiunse facendo tesoro delle ricerche storiche e geografiche di Emanuele Repetti. L’apparato iconografico fu ancora abbellito con otto grandi incisioni in stile romantico eseguite dal francese Lemercier; le illustrazioni furono in seguito imitatissime, in particolare quella in cui l’artista raffigura Nello che ritrova la Pia già mezza sepolta, ripresa anche nell’edizione Nerbini del 1931 da Tancredi Scarpelli che disegnò la coperta e le scene del fortunato romanzo di Diana da Lodi.
La presente edizione nella collana “il muricciòlo” ripropone il testo dell’edizione Chiari ricomposto con tutte le incisioni originali, l’introduzione con la biografia del Sestini corredata da una testimonianza di Pirro Giacchi su un gustoso episodio del periodo fiorentino di Sestini, un apparato di note esplicative sul testo e una bibliografia essenziale.
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Alessandro Bencistà
VOCABOLARIO
DELVERNACOLOFIORENTINO III ED
FirenzeLibri Ed. Reggello 2005
Questa ultima edizione esce accresciuta di circa cinquecento voci, la maggior parte estratte da testi vernacolari di recente composizione, altri testi antichi e moderni non consultati nei precedenti lavori fino ad alcune voci nuove del lessico contemporaneo, soprattutto giovanile; altri apporti ci vengono continuamente suggeriti da amici e colleghi che hanno conosciuto ed apprezzato le due edizioni di questo lavoro. Continuando la lettura di testi contemporanei, qualche voce rimane dell’antica parlata, ben poca cosa rispetto ai precedenti; come spettatori continuiamo a vedere commedie nuove di cui possediamo anche i copioni, abbiamo già evidenziato come una delle fonti più cospicue della nostra indagine sia stata la commedia fiorentina del primo novecento, da Novelli a Caglieri, passando attraverso Paolieri, Vitali, Carbocci fino al contemporaneo Gioli. Conoscendo molti dei testi del Premio Bastogi del 1910 vinto da Ferdinando Paolieri con I’ pateracchio, abbiamo tentato una comparazione. Il confronto risulta impari (ci riferiamo ovviamente al solo aspetto lessicografico).
Tutte le più recenti voci del gergo contemporaneo giovanile appartengono alla parlata comune quotidiana e sono raramente esemplificate in documenti scritti, già molto è se si riesce a strappare dalle mani degli alunni (o dalle pareti della classe) qualche foglietto volante che durante le lezioni con un finto atto di forza riusciamo a sequestrare e conserviamo gelosamente. Ogni tanto gettiamo lo sguardo sul furtivo messaggio scarabocchiato sul classico foglietto sgualcito che gira tra i banchi, archeologia ormai superata dai supporti digitali che stanno dilagando: telefonini, CD, i-pod, pennette, oggetti di largo consumo e alla portata di tutti gli scolaretti fin dalle classi elementari.
Un capitolo a parte infine riguarda il linguaggio degli SMS su cui ormai si scrivono trattati e tesi di laurea, un aspetto molto interessante della trasformazione della lingua, ma noi lo consideriamo non come una parlata, come abbiamo scelto di titolare la nostra ricerca, ma una forma di scrittura, ancora in evoluzione e, in attesa di scoprire in quale direzione ci porterà questa “mutazione genetica”, ci soffermiamo per una pausa di riflessione.
A cosa serve oggi un lavoro come questo? La nostra presunzione è quella di dimostrare che il vernacolo fiorentino non è una lingua morta, che c'è ancora una gran parte della popolazione che lo parla, scrittori e drammaturghi che lo utilizzano nelle loro opere, poeti che lo cantano, attori che lo recitano. Una parlata vivissima che intende resistere al rogo a cui i moderni mezzi di comunicazione di massa lo hanno condannato. Come gridò un grande attore in un bel film oggi dimenticato (L'Arcidiavolo), così gridiamo anche noi: "Fiorentini ... prendete e' secchi e spengete i' foco, Dio bonino!" (A.B.)
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ANTON FRANCESCO MENCHI di Pistoia, Cantastorie e giullare contro la guerra, (a cura di Alessandro Bencistà)
Personaggi pistoiesi del '700 e '800
Brigata del Leoncino, 2004
Una breve presentazione del cantastorie pistoiese attivo in Firenze fra la fine del Settecento e i primi decenni dell'Ottocento; di seguito la commemorazione che ne fece Lorenzo Selva (Giuseppe Arcangeli) su LA RIVISTA DI FIRENZE nel 1847: L'ultimo dei giullari, un bellissimo omaggio che ricostruiva la vicenda terrena del Menchi scomparso nel 1828, una pagina molto citata dai folcloristi del Novecento.
Altri volumetti sulle tradizioni dalla stessa collana della Brigata del Leoncino:
Andrea Bolognesi, Bartolomeo Sestini - Poeta e patriota tra '700 e '800; Giacomo Bini, Gherardo Nerucci - Letterato e patriota; Claudio Rosati, Beatrice Bugelli - Poetessa Pastora;
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Alessandro Bencistà
L'AMBULANTE SCUOLA, poesia popolare ed estemporanea in Toscana
Semper Ed. Firenze 2004 15,00 €.
L’"ambulante scuola" è una breve storia della poesia popolare ed estemporanea in Toscana; in modo particolare è stata affrontata la nascita del contrasto e del poemetto in ottava e la sua diffusione dalle origini ad oggi. Questo lavoro, nato da una serie di incontri sulle tradizioni popolari, vuole essere un utile strumento per inoltrarsi nel variegato pianeta del folklore, sia quello presente nella città che nel contado. Ogni periodo inquadra i protagonisti in un’epoca e in uno spazio ben definiti, facendo seguire per ognuno alcuni brani del repertorio poetico. Una tradizione, più volte viene data per scomparsa, che a inizio di millennio si scopre ancora vitale in varie zone della Toscana, dal contrasto in ottava rima al poemetto rusticale, dalle cronaca quotidiana alla grande storia. Si segue l’evoluzione di questa cultura dalle varie composizioni in volgare portate in giro dai cantastorie o cantimpanca, fino alla comparsa dei primi fogli volanti, poi dei libretti a stampa, per arrivare nella seconda metà del Novecento al disco microsolco, al nastro magnetico e infine al C.D. Non manca un aggiornamento alla situazione attuale con cantastorie e improvvisatori ancora in attività.
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Francesco Baldovini
LAMENTO DI CECCO DA VARLUNGO - IL MUGNAIO DI SEZZATE ed altri scherzi in versi
A cura di ALESSANDRO BENCISTÀ
Semper Ed. Firenze 2004 12,00 €.
Questo volume contiene tutte le opere giocose di Francesco Baldovini, prima di tutte il Lamento di Cecco da Varlungo, opera che più di ogni altra ha dato all’autore la fama per cui fu apprezzato dal Leopardi e da eminenti studiosi della tradizione poetica in vernacolo rusticale, come il Manni e il Fanfani.
Insieme agli altri componimenti in ottave e ai sonetti abbiamo inserito il prologo de Il Mugnaio di Sezzate, gli scherzi drammatici, le canzoni e i dialoghi rusticali; opere che non ebbero la fortuna del Lamento e che abbiamo recuperato da rarissime pubblicazioni o antiche miscellanee; a queste abbiamo aggiunto anche diverse liriche tratte dai codici della Biblioteca Nazionale Centrale e Riccardiana di Firenze (dove sono conservate 190 composizioni, fra cui i manoscritti autografi) che non figurano nelle edizioni da noi consultate.
Da queste siamo partiti per mettere insieme una monografia che riunisse in un solo volume almeno le composizioni di carattere giocoso, rimandando ad altra occasione il componimento drammatico pubblicato dal Moücke Chi la sorte ha nemica usi l’ingegno e quelle su tematiche d’occasione o moraleggianti, quasi tutte legate alla sua funzione ministro del culto, che tuttavia ci hanno fatto conoscere un Baldovini diverso, sinceramente aderente alla sua missione di sacerdote e continuamente alla ricerca di uno spessore poetico più consistente. Pensiamo che le opere qui riunite siano sufficienti per la conoscenza del priore Baldovini; alcune, almeno in edizione popolare, non si ristampavano dall’Ottocento, come le ottave ai Calcianti di Santa Croce che abbiamo tratto dalla raccolta delle poesie pastorali di Giulio Ferrario o Il Mugnaio di Sezzate. Con molto ritardo, accogliamo l’invito che il bibliotecario corsiniano Luigi Maria Rezzi faceva nel 1855: “Sarebbe utile agli studii del bello scrivere toscano, che tutti questi componimenti, unendovi eziandio il Lamento di Cecco, sparsi in così molti libri, pigliasse taluno a darceli raccolti in un solo volume”.
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Alessandro Bencistà
DIO LO VUOLE
In appendice IL MISOBISCIO, Scherzi in rima contro il potere
SempeR Ed. Firenze 2004, 12,00 €.
Questa raccolta di versi copre l'arco di circa un decennio. Quasi tutte le liriche presentate denotano una forte impronta antimilitarista, gridata con rabbia contro i responsabili del nuovo imperialismo e contro chi potrebbe, ma non si impegna abbastanza, per fermare la politica di rapina e di massacro che caratterizza la storia contemporanea. Una poesia grezza e frammentaria, spesso aspra e graffiante, fortemente contro.
La seconda parte (Il Misobiscio) comprende gli scherzi poetici in rima scritti per una trasmissione radio, versi e versacci, anche questi contro il potere rappresentato da un cavaliere che scese in campo armato di antenne per combattere un nemico che non c'era più. La storia continua ancora, per ridere o per piangere.
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POESIA ESTEMPORANEA A RIBOLLA 1992 - 2001
a cura di Corrado Barontini e Alessandro Bencistà
Ed. TOSCANA FOLK - EDITRICE LAURUM
Il libro oltre agli articoli introduttivi dei curatori, riproduce i "fogli volanti" (piccole pubblicazioni stampate con mezzi poveri) che sono stati distribuiti negli "Incontri di poesia estemporanea" di Ribolla dal 1992 al 2001.
Contiene dunque la storia delle iniziative ma parla anche dell'attività dei poeti improvvisatori offrendo articoli, interventi qualificati ed un notevole numero di "contrasti" in ottava rima sbobinati da varie incisioni.
L'occasione per mettere insieme queste pagine è legata alla ricorrenza dei dieci anni di attività della poesia estemporanea a Ribolla. Ma al tempo stesso una pubblicazione sull'improvvisazione poetica diviene motivo per tornare a parlare di questa vera e propria forma d'arte che vede affacciarsi sulla scena nuovi soggetti, come qualche giovane poeta, in grado di dare un particolare impulso alla creatività in ottava rima.
Gli improvvisatori che in questi dieci anni hanno partecipato agli "incontri di poesia estemporanea" sono stati molti e rappresentativi di varie località toscane e laziali. Il libro parla di alcuni di loro dando un significativo profilo all'attività svolta a Ribolla, ma qui vogliamo elencare e ricordare tutti
quei poeti che sono intervenuti anche semplicemente portando il proprio saluto: Ara Gabriele, Bandini Bandino (scomparso), Banchi Lio, Benelli Carlo, i fratelli Benelli Elidio e Francesco, Benelli Ireneo (scomparso), Sergio Cinci, Gianni Ciolli, Grassi Niccolino, Landi Nello, Logli Altamante, Lozzi Umberto, Mafucci Ivo, Mastacchini Benito, Melani Artemio, Paroli Quinto (scomparso), Puleri Azelio, Rossi Elino, Rustici Enrico, Staccioli Luigi, Tamberi Liliana, Tonti Realdo, Tuccio Bruno, Turini Dirio, Vietti Libero (scomparso).
Da alcune località laziali sono intervenuti: Abbaffati Maurizio, Bruni Ezio, De Acutis Pietro, Finocchi Franco, Mariani Antonio.
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VOLUMI PUBBLICATI:
n. 1 Augusto Novelli, L'ACQUA CHETA, Libreria Chiari ed. 1999
n. 2 Ferdinando Paolieri, I' PATERACCHIO, Libreria Chiari ed. 1999
n. 3 Augusto Novelli, GALLINA VECCHIA, Libreria Chiari ed. 1999
n. 4 Alessandro Roster, FRA LE DISTURNE E I CANTI, Libreria Chiari ed. 1999
n 5 Augusto Novelli, ... E CHI VIVE SI DA PACE, Libreria Chiari ed. 1999
n. 6 Baccio Bacci, CHI DISSE DONNA DISSE GUAI... Libreria Chiari ed. 1999
n. 7 Augusto Novelli, LE SUE ... PRIGIONI, Libreria Chiari ed. 2000
n. 8 Augusto Novelli, UN CAMPAGNOLO AI BAGNI, Libreria Chiari ed. 2000
n. 9 Augusto Novelli, CASA MIA, CASA MIA ... Libreria Chiari ed. 2000
n. 10 Augusto Novelli, L'ASCENSIONE, Libreria Chiari ed. 2000
n. 11 Giovan Battista Zannoni, LA CREZIA RINCIVILITA, Libreria Chiari ed. 2000
n. 12 Brunetto Salvini, I TEMPI CAMBIANO, Libreria Chiari ed. 2000
n. 13 Giovan Battista Zannoni, LA RAGAZZA VANA E CIVETTA, Libreria Chiari ed. 2001
n. 14 Brunetto Salvini, I' FIGLIOLO DI' PRETE, Libreria Chiari ed. 2001
n. 15 Luciano Baroni, GRAZIE NONNO, Libreria Chiari ed. 2001
n. 16 Oreste Pelagatti, IL RAGAZZO DI SAN FREDIANO, Libreria Chiari ed. 2001
n. 17 Ferdinando Paolieri, CHIU', Libreria Chiari ed. 2002
n. 18 Ferdinando Paolieri, GLI ANTIDILUVIANI, Libreria Chiari ed. 2002
n. 19 Mario Recchia, AMLETO... I' VINAIO, Libreria Chiari ed. 2003
n. 20 Mario Recchia, LA PROFANA COMMEDIA, FirenzeLibri ed. 2004
n. 21 Augusto Novelli, ACQUA PASSATA - INFERNO, PURGATORIO E PARADISO, FirenzeLibri 2004
n. 22 Augusto Novelli, LA CUPOLA, FirenzeLibri ed. 2005
n. 23 Anna Maria Vannini, PROPIO UN BER NATALE, FirenzeLibri ed. 2005
n. 24 Giulio Ginanni, MONOLOGHI E CREAZIONI, FirenzeLibri ed. 2006
n. 25 Giulio Bucciolini, LA FAMIGLIA PATRIARCALE, FirenzeLibri ed. 2006
n. 26 Venturino Camaiti, ACQUA PURGATIVA
Augusto Novelli, LA VERGINE DEL LIPPI, FirenzeLibri ed. 2009
n. 27 Augusto Novelli, CANAPONE, FirenzeLibri ed. 2009
n. 28 Giulio Svetoni, IL GASTIGAMATTI, FirenzeLibri ed. 2010
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F I O R E N T I N A C C I
I' Novecento in vernacolo fiorentino
Antologia poetica
a cura di ALESSANDRO BENCISTÀ
Ed. POLISTAMPA, Firenze 1999 €. 14,46
Una poesia scritta nel dialetto popolare, di Firenze e del contado, nasce fin dal quindicesimo secolo, ed è proprio Lorenzo de’ Medici a sperimentare per primo quei moduli che avranno una grande fortuna fin quasi ai giorni nostri: i canti del maggio, i canti giocosi e carnascialeschi e in particolar modo il poemetto in ottava rima che troverà proprio nelle classi popolari e contadine la maggior diffusione; una produzione di versi che non è soltanto colta ed accademica ma che è fatta propria anche dagli improvvisatori e cantastorie che insieme daranno vita a quella che il D’Ancona chiamerà con felice espressione “letteratura muricciolaia”.
Con la fine dell’Ottocento e all’inizio del secolo scorso i temi della poesia, che ora chiameremo in vernacolo, sono in buona parte occupati dal dibattito sociale e politico; comincia a nascere una coscienza di classe, specialmente a causa degli scontri, anche violenti, di quel periodo, spuntano ovunque, nelle grandi città e nei centri minori le organizzazioni dei lavoratori e dei partiti, l’associazionismo, le cooperative, le società di mutuo soccorso. Non senza aspre contrapposizioni con le forze che avevano dominato fino a quell’epoca. E’ di questi anni una polemica contro il giovane partito socialista, un partito i cui esponenti avevano appena incominciato ad occupare le cariche che venivano via via strappate alla vecchia classe dirigente liberale. Tutti questi avvenimenti sono bocconi gustosi per la penna polemica di Luigi Bertelli (Vamba) che non se li lascia certo sfuggire.
I fiorentini hanno sempre affrontato con sanguigna partecipazione la vita politica e sociale della loro città, da destra e da sinistra, come sempre del resto fin dai tempi dei Guelfi e Ghibellini ;
e in quegli anni a cavallo dei due secoli ci si accendeva facilmente.
Ma poi prevale il tranquillo e innocuo divertimento sugli aspetti quotidiani della vita cittadina, ritratti fulminei di popolani e popolane abbozzati nei quattordici versi del sonetto, secondo la miglior tradizione giocosa della nostra letteratura minore. Puro divertimento ed esercizio letterario, per non perdere l’abitudine all’uso dei versi, a Firenze “gli scrian tutti”, come disse Rosai in una sua poco conosciuta scenetta. Così possiamo mostrare i nostri poeti fiorentini: medici, avvocati, bottegai, preti, giornalisti; le classi sociali sono rappresentate davvero tutte.
Crediamo doveroso anche prendere le distanze da certi apologetici accostamenti alla grande poesia dialettale di Porta, Belli e Di Giacomo che qualche giovane giornalista fece sulla stampa periodica di allora, tutti i poeti vernacoli del secolo messi insieme non arrivano alla cintura di uno solo di quei tre grandi, ma il loro tentativo di creare una poesia dialettale fiorentina va apprezzato, per questo non vogliamo dimenticarli, perché ci sembra giusto che la lingua del popolo sopravviva alle mode e alle radicali trasformazioni intervenute in questo nostro tragico e scombussolato Novecento. E i poeti, anche quelli con la p minuscola, non hanno mai fatto del male a nessuno. Anzi, ce ne fossero!
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LA CASA DEL POPOLO DI GREVE IN CHIANTI
Testimonianze e immagini su quaranta anni di lavoro collettivo
(a cura di Alessandro Bencistà)
Edizioni POLISTAMPA; Firenze 1994
Questa raccolta di testimonianze, documenti, foto ed interviste sulla storia della Casa del Popolo di Greve, dall'anno della costruzione ad oggi, è un dovuto atto di ringraziamento a tutti i compagni ed amici che, affrontando notevoli sacrifici, hanno dedicato il loro tempo libero e la loro intelligenza organizzativa alla realizzazione a alla gestione di un centro di aggregazione sociale e politica, di attività e di solidarietà così importante in un territorio come quello grevigiano.
La Casa del Popolo ha avuto ed ha ancora un ruolo assai importante per il modo alternativo di proporre ed attuare iniziative culturali e ricreative, un compito nuovo ed innovativo che è quello di riunire i cittadini ed aiutarli a risolvere i tanti problemi, privati e collettivi, che pone la società di oggi.
Più precisamente: ci siamo impegnati per sviluppare la partecipazione popolare al mondo della cultura e dello sport, onde permettere l'accesso dei lavoratori e dei loro figli a questi settori tradizionalmente riservati alle classi sociali più abbienti, e nello stesso tempo apportando un contributo di energie nuovo e fattivo, dando dignità e valore alla cultura popolare e contadina fino ad allora relegata ad un ruolo marginale.
Abbiamo fatto tanta politica riunendo nei circoli A.R.C.I. i partiti della sinistra e lottando per far progredire la democrazia italiana.
Abbiamo permesso, cosa altrettanto importante, l'incontro e la comprensione fra generazioni diverse, con il passaggio di responsabilità gestionali in un'armonia forse non sempre perfetta ma sempre considerata come un bene prezioso ed inestimabile.
Fino da allora il nostro intento è stato anche quello di fornire un servizio a tutto il paese di Greve, proprio mentre noi, appartenenti alle classi sociali che la Storia aveva precedentemente escluso dalla vita culturale, sportiva e di gestione del "tempo libero", costruivamo uno spazio autonomo e dignitoso.
Certamente non siamo stati esenti da errori in tutti questi anni; quante cose potevamo fare con più stile! Sono molti in effetti i progetti, realizzati o proposti che abbiamo rimesso in discussione, ma non è mai andata in crisi l'idea democratica che non esistono cittadini di serie B, con minori diritti e minori bisogni materiali e spirituali.
Sosteniamo anche oggi il principio che non si debba mortificare l'individuo con un lavoro che porti a trascurare la dignità della persona e le capacità intellettuali che lo rendono uomo, oppure con una politica che escluda, magari in maniera subdola, settori importanti della società dalla progettazione di una civile e solidale convivenza fra gli uomini.
Non trascurando le differenze e neppure l'Utopia che ci ispira, anzi valutandole un importante patrimonio, senza dimenticare la coerenza e il costante confronto con la realtà.
Oggi la Casa del Popolo ha già quaranta anni; come si poteva non pensare a quanti la vollero e la realizzarono con il proprio lavoro e il proprio sacrificio! Con questo libro li vogliamo ringraziare davvero tutti, in particolare quelli che non ci sono più, e nello stesso tempo dire ai giovani che oggi frequentano il circolo, di non considerare quello che si ha, come qualcosa che è dato per scontato, sia trattandosi di quattro mura che di libertà o livello di civiltà: quando si troveranno loro di fronte a delle responsabilità si accorgeranno che quello che sembrava il volo di un passerotto, si rivela il volo di un'aquila.
E' questa anche un'occasione per riflettere sul mondo d'oggi, epoca in cui sono avvenuti mutamenti politici e divisioni impensabili; anche in passato ci sono state a confronto idee diverse insieme a laceranti disaccordi, ma proprio il lasso di tempo di 40 anni (quasi metà vità) dà una valenza eticamente positiva a questa lunga convivenza e a questa prolungata amicizia fatta di interessi comuni e di dispute in libertà.
Perciò non ci possiamo fermare adesso, dobbiamo pensare insieme alle nuove generazioni, a ciò che ancora può fare un circolo come il nostro, come può aprirsi ulteriormente alla società, a come può elevare il livello dei suoi interventi. Tutto quanto senza dimenticare il passato, senza mistificare la storia, con il grato ricordo di coloro che ci hanno preceduto. Il Presidente e il Consiglio della Casa del Popolo.
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I BERNESCANTI
Il contrasto in ottava rima e le tematiche attuali
A cura di Alessandro Bencistà
Ed. POLISTAMPA, Firenze 1994 €. 17,00
Quest'antologia raccoglie una cospicua selezione della produzione contemporanea del canto improvvisato; si tratta di registrazioni effettuate in occasione di spettacoli e serate di varia provenienza, dalle feste dell'Unità alle fiere, dalle riunioni in piccoli circoli ricreativi agli incontri amichevoli in case private.
La nostra indagine copre un'area abbastanza vasta della Toscana, dove ancora sopravvivono queste antiche forme di cultura orale, dai centri più industrializzati (Prato o Quarrata) alle solari pianure della Maremma contadina. Il filo logico che unisce queste diverse zone è dato dai poeti, dalla loro presenza; noi ci siamo mossi seguendo questo tracciato; non stupisca quindi che alcuni territori siano più rappresentati di altri, è il caso della provincia di Grosseto, che più delle altre ha saputo conservare intatto quel patrimonio di valori legato alla civiltà contadina da cui trae linfa vitale questo canto: su 23 poeti di cui abbiamo raccolto i contrasti, 12 sono maremmani, tutti ancora in attività; gli altri provengono dalle province di Pisa, Arezzo, Firenze.
La cultura ufficiale e i media ignorano questa realtà che per secoli ha costituito una particolarissima forma di comunicazione e di contatto fra campagna e città, fra passato e presente, dove il canto del poeta diventa la voce della storia, fatta dal popolo e per il popolo.
Più della metà dei contrasti che riportiamo sono stati registrati nel 1992 e nel 1993, quando si era appena conclusa la guerra del Golfo e mentre il dibattito politico cominciava a diventare incandescente per gli avvenimenti che stavano per cambiare il volto dell'Italia e del mondo: la scomparsa dell' Unione Sovietica, la scissione del Partito Comunista Italiano in P.D.S. e Rifondazione, lo scandalo di "tangentopoli" e i politici corrotti, le inchieste della Magistratura, il referendum.
I poeti hanno saputo recepire mirabilmente questo cambiamento, farlo proprio e, come sempre, diffondere con la voce del cuore il loro messaggio di pace e di speranza, e insieme il grido di denuncia e di accusa.
Noi siamo stati presenti a molti di questi incontri e possiamo documentare quanto abbiamo scritto; a cominciare da quello di Lamporecchio, 8 febbraio 1991, pochi giorni dopo la fine della aggressione americana all'Iraq, quando i poeti affrontarono a caldo e con straordinaria precisione il vero dramma di quel tremendo conflitto, denunciando con pochi ed essenziali versi l'infamia di quella guerra annunciata, prendendo le distanze dalla troppo facile separazione fra ragione e torto e opponendo al manicheismo generalizzato dei media il loro atto d'accusa contro gli "eroi" che "la farebban la guerra di mestieri" o "come scrivere su un quaderno"; ed anche di fronte ad una richiesta totale e accorata della pace il più vecchio di loro non può che rispondere: "a me sembra si soffi nella brace".
In certi casi l'intervento su questioni attuali di grande rilevanza sociale oltre che morale è anticipato di anni, si legga a questo proposito il "Contrasto fra Magistratura e terrorismo" dove si trovano verso come questo: "e la Magistratura coi suoi passi / e l'ordine vuol portar nella Nazione", è datato 1981, mancava ancora più di un decennio alle arringhe di Di Pietro.
Oppure ci si soffermi sulla maestria dimostrata da un'ultrasettantenne poeta fornito appena di licenza elementare, nell'affrontare il difficile contrasto fra zappa e computer richiesto dal pubblico.
Non si può non provare un senso di disagio quando scriviamo che la maggior parte di loro non possiede nemmeno la licenza elementare; segno che "la cultura non coincide necessariamente con quello che si impara a scuola", ha giustamente osservato un giornalista della RAI, presente ad una di queste riunioni (Incontro con RAI 3 in casa Grassi) e stupito del loro livello di conoscenza e della incredibile capacità di orientarsi immediatamente in temi così attuali.
Questa gente semplice e sincera, dotata di una straordinaria capacità evocativa e dal cuore grande come una casa, è oggi purtroppo in via d'estinzione e certo, usando una colorita frase di Domenico Giuliotti, meriterebbe almeno "una nicchia...nel Museo Storico della letteratura italiana.
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Alessandro Bencistà
IL SEME DEL GRANO
Poesie 1968 - 1993
Ed. POLISTAMPA Firenze 1993
È la prima raccolta di poesie pubblicata da Alessandro Bencistà e raccoglie quarantacinque composizioni liriche povere e scarne, scritte nell'arco di un quarto di secolo, un ricordo che ha voluto lasciare alla moglie e alla figlia, senza cercare altra diffusione all'infuori di pochi amici. Il libro infatti non è mai stato presentato. Resta ben lontana l'idea di considerarsi un poeta, soprattutto ad un'età in cui i veri poeti avevano già contribuito ad imprimere il proprio nome nel grande libro della letteratura.
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Alessandro Bencistà
VOCABOLARIO DELLA VALDIGREVE
Ed.POLISTAMPA, Firenze 1992
Questo lavoro raccoglie circa 1200 voci della parlata vernacola che fino all’avvento dell’ ”Evo Televisivo” dominava incontrastata nelle campagne fiorentine; si vuole così sottolineare il valore del linguaggio popolare e contadino, eredità storica, culturale e, aggiungiamo, anche affettiva, da lasciare in dono alle generazioni future, quelle che si imbeccano quotidianamente di war games e di altri diffusi passatempi elettronici (quando abbiamo pubblicato questo volume non erano ancora pervenuti alla diffusione di massa né i telefonini, né internet, né face book) ma non hanno quasi mai visto un animale da vicino e non saprebbero distinguere una quercia da un fico.
Generazioni che, ci auguriamo, saranno ancora alle prese con Dante e Boccaccio, con Machiavelli e col Berni, senza però capire come la lingua di questi grandi scrittori sia stata fino a pochi decenni or sono non molto distante da quella del popolo. È la parlata contadina che ci ha conservato e trasmesso quasi integralmente una gran numero di voci di quel volgare che ancora prima di Dante nasceva sulle ceneri della ormai consunta lingua latina. Qualche esempio: il vecchio contadino parlando dell’ultima vendemmia userà ancora con estrema naturalezza l’antica espressione unguanno (dal latino hunc annum) per dire “quest’ann”, esattamente come scrivevano Boccaccio, il Sacchetti, il Berni. Lo stesso contadino giocando a scopa o a briscola, chiamerà regio e non “re” la figura di maggior punteggio; si scuserà di dover andare al licit per un bisogno improvviso, ripeterà il due febbraio il vecchio proverbio Candelora, candelora / se pioviscola o gragnora / dell’inverno siamo fora, dalla latina “festa delle candele” (genitivo candelarum)
È stata questa la base di partenza della nostra ricerca che ha voluto soffermarsi non solo su voci documentate nei testi antichi e contemporanei ma anche su voci popolari sconosciute ad aree linguistiche immediatamente circostanti, come biondo e bottinzola, cistella e frallupaie, capofreddo e grappelle.
Questo è il vocabolario che ci è stato trasmesso fin dalla più tenera età, sarebbe nostro desiderio lasciarlo ai nostri figli e ai nostri nipoti, o che almeno resti la nostra testimonianza scritta, prima che se ne perda anche il ricordo.
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Alessandro Bencistà
TOPONIMI DEL COMUNE DI GREVE IN CHIANTI DALLE ORIGINI
ALL'EPOCA CONTEMPORANEA
Ed.POLISTAMPA, Firenze 1992
Questo lavoro comprende l'elenco, ordinato alfabeticamente, di 1760 toponimi (non sono calcolati i 572 rimandi che vi sono inseriti) del comune di Greve, in particolare quelli definiti di microtoponomastica con tutte le aggiunte e variazioni, comprese le voci scomparse o cadute in disuso reperite nella nostra indagine; alcune di queste interessano particolarmente l'aspetto linguistico, oltre che storico e geografico della zona, specie se si parte dal presupposto che il toponimo registra sempre la presenza e la conseguente evoluzione di ogni nucleo abitato dall' uomo.
Il nostro lavoro allarga il campo di indagine costituito dalle sei tavolette al 25.000 della cartografia IGM nelle quali è compreso il comune di Greve in Chianti: 632 toponimi, meno di un terzo di quelli pubblicati nel volume.
Partendo dalla lettura della cartografia storica, dalla Tabula Peutingeriana alle Mappe dei Capitani di Parte Guelfa, dalla Descriptio Etruriae Nova di Pietro del Massaio fino alla Carta geometrica della Toscana di Giovanni Inghirami e alle recenti Mappe catastali dell'Ufficio Tecnico del Comune di Greve in Chianti, abbiamo considerato tutte le fonti orali di cui siamo a conoscenza diretta per motivi di residenza e anagrafici, che ci hanno reso familiari un bosco, una strada, un edificio o nucleo abitato, luoghi questi ultimi che sono presenti solo nella memoria e la parlata delle genti del contado fra cui ci collochiamo. Sono stati recuperati alcuni nomi di località non sempre ben definite geograficamente, come campi e boschi, fonti o sorgenti, croci isolate o cimiteri, luoghi ancora vivi e patrimonio comune delle popolazioni residenti.
Con questo lavoro pensiamo di aver dato un elenco dei toponimi del comune di Greve in Chianti abbastanza esauriente, comunque il più ampio finora pubblicato.
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Alessandro Bencistà
I MAESTRI DELLA VALDIGREVE, Guida alle più importanti
opere di arte sacra nel territorio comunale,
Ed. POLISTAMPA, Firenze 1991 * Con il contributo dell'Amministrazione Comunale di Greve in Chianti; Cassa di Risparmio di Firenze; Cooperativa di Consumo Italia Nuova di Greve in Chianti.
Questo libro tende a sottolineare, oltre che a far conoscere, lo sviluppo dell'arte sacra in un territorio fortemente segnato dalla presenza umana ed attento a certe forme di devozione intimamente penetrate in tutti gli strati sociali, le cui tradizioni ed origini si perdono nella storia.
Uno sviluppo che non riguarda solo le arti figurative, che cominciano a manifestarsi nelle forme che ancora oggi conosciamo e conserviamo nei musei e nelle chiese: croci dipinte, ancone, paliotti d'altare ed altri arredi che segnano fortemente la religiosità popolare; sono i segni di una cultura scaturita dalla presenza di opere già esistenti in molte zone della Toscana e sulla cui provenienza e realizzazione si è tanto parlato nel dibattito culturale della prima metà del Novecento; ci sembra tuttavia doveroso accennare alla produzione di manufatti ed oggetti sacri legati al culto e collocabili fra l'arte e l'artigianato come le croci astili, i capitelli scolpiti ed altre sculture povere che ancora ornano altari e architravi di ogni chiesa del contado. Accanto ai grandi artisti provenienti dalle città, e ricordiamo Meliore di Jacopo, Bicci di Lorenzo, Mariotto di Nardo, i monaci delle grandi abbazie vallombrosane, ricordati col semplice nome di "maestro" affiancato alle loro splendide tavole, dal Maestro di Montefioralle, al Maestro della Madonna Straus, al Maestro di Panzano.
Il volume è diviso in quattro itinerari e corredato dalle biografie dei Maestri che hanno lasciato la loro opera nelle chiese del territorio comunale.
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I POETI DEL MERCATO
Raccolta di contrasti in ottava rima dei poeti estemporanei Gino Ceccherini e Elio Piccardi
(a cura di Alessandro Bencistà)
Studium Editrice, Radda in Chianti 1990 * Con il contributo e patrocinio della A.N.V.A. Confesercenti di Firenze.
Nel periodo in cui la scolarità non aveva ancora raggiunto i livelli di massa attuali e alla maggioranza della popolazione, sia dei centri abitati che delle campagne, restava impossibile fruire del piacere di leggere o ascoltare la poesia, che popolare o colta, seria o giocosa è pur sempre cultura, si erano conquistati un loro vasto pubblico i poeti estemporanei ambulanti, detti anche "bernescanti". Lo spazio lasciato vuoto dalla scuola e dalle istituzioni, veniva quasi in ogni regione colmato dalla capacità, dalla fantasia, e soprattutto dal grande amore per la poesia, di poeti come il Ceccherini e il Piccardi, per citare solo un paio dei più noti in Toscana.
Piccardi e Ceccherini erano due contadini, del Valdarno il primo e del Mugello il secondo, ambedue continuatori di un' arte antica e tramandata oralmente di padre in figlio; un'arte e una cultura cresciute nei campi e nei boschi, nelle aie e poi nelle piazze, dal sapore di lucerna, ove per lucerna si intenda il canto del fuoco e la grande cucina delle lunghe veglie invernali.
Lontane sono la scuola e il circolo accademico; va sottolineato al proposito come i nostri poeti non avessero alle spalle studi organici di letterature e di poesia, nemmeno a livello di base, perché le scuole le avevano frequentate appena, il Piccardi le elementari (molto probabilmente in pluriclasse) e il Ceccherini nemmeno quelle, era analfabeta e della sua condizione non si vergognava.
Poco è stato pubblicato o inciso dai poeti estemporanei, Ceccherini e Piccardi, sono una delle rare eccezioni; noi ne abbiamo seguito quasi dall' inizio l' evoluzione e la loro avventura poetica, e possiamo rendere testimonianza; la loro è una poesia che non si legge e non si studia come quella dei libri, si ascolta e si recepisce al volo, anche senza essere andati a scuola. Era così in tutte le loro esibizioni sempre seguite con grande partecipazione di popolo.
Forse il consenso del pubblico mancò solo quando cercarono di uscire dal loro modulo poetico, lo si avverte nei modesti tentativi di trascrivere le loro composizioni.
Analfabeti di nascita e di condizione, davano il meglio della loro arte soprattutto a contatto della gente, a contatto nel senso letterale della parola, come quando sul banco del mercato vendevano le lamette e il sapone da barba o si esibivano nelle modeste sale delle Case del Popolo della provincia di Firenze.
Il loro messaggio poetico era interpretazione e concezione della vita e della realtà quotidiana nella più genuina essenza, che dal popolo trae ispirazione e al popolo la restituisce.
Per fortuna, quel progresso che essi tanto si divertivano a prendere in giro nelle loro ottave paesane, ha permesso che venisse conservata la loro voce e parte del loro repertorio, il tutto artigianalmente inciso da piccole case discografiche e su nastri magnetici, senza tante raffinatezze tecniche e senza una regia, quasi improvvisando, come in piazza.
Ciò che resta non è soltanto un' eccezionale testimonianza della cultura orale ormai estinta, ma anche un documento irripetibile del dialetto delle campagne fiorentine, anche questo in via d' estinzione.
I dischi che oggi sono rimasti e i pochi nastri di registrazione da loro stessi malamente incisi e amorevolmente conservati dagli eredi hanno consentito la stesura di queste brevi note e l' esauriente antologia.
Forse negli archivi della RAI o di qualche cinegiornale privato restano anche degli spezzoni di film il cui recupero dovrebbe essere un nostro dovere civico e culturale. Perché abbiamo ancora bisogno di poeti.
Il volume è completato dalle biografie dei poeti e di un glossario delle voci da loro utilizzate.
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Alessandro Bencistà
TRE PIEVI E UNA BADIA
Monumenti e opere d'arte nel territorio di Scandicci
STUDIUM EDITRICE, Radda in Chianti, 1989 *Con il contributo dell'Amministrazione Provinciale di Firenze
Forse oggi è un po' difficile immaginare Scandicci un luogo del contado fiorentino; ormai la città si estende senza soluzione di continuità da Sesto a Bagno a Ripoli, da Settignano a Signa; quelli che una volta erano i paesi limitrofi sono stati rapidamente inglobati nella grande area metropolitana ed hanno perso quasi per intero la loro identità di centri autonomi, la loro economia secolare, la loro storia e, in parte, anche la loro arte. Forse quest'ultima è l'identità che più delle altre ha resistito all'usura del tempo e alla mutevole mentalità dell'uomo. Un'arte esclusivamente legata al sacro che ha visto la propria evoluzione insieme all'ambiente architettonico che dalla nascita è stato il suo naturale contenitore: la chiesa.
Tuttavia, dobbiamo registrare, come è avvenuto ovunque col trascorrere dei secoli, vistose mutazioni derivate dall'evoluzione delle mode e degli stili, dalla distruzione per cause naturali (terremoti, fulmini) o umane (guerre, saccheggi), dai passaggi di proprietà, dalle destinazioni ad uso diverso non sempre appropriato: si sono visti nudi che venivano rivestiti, volti sereni trasformati in volti piangenti e disperati, espressioni regali e solenni che venivano umanizzate; come se questo non bastasse si sono aggredite tavole e sculture con l'aggiunta di corone di spine o di metalli preziosi, sono stati piantati sulle secolari e delicate tempere cuoricini e diademi, bracciali, aureole; una folle orgia di bullette e di chiodi.
Di queste opere abbiamo ricostruito la storia e messo in evidenza le più importanti che vi sono conservate, gli arredi più degni di considerazione. A lavoro ultimato ci siamo accorti che, nonostante l'impegno messo in atto dall'uomo nel distruggere o dimenticare la sua storia e la sua cultura, questi capolavori resistono imperterriti, anzi rinascono e si mostrano al cultore e al devoto più belli e più sacri di prima. Ciò fa nascere in noi la speranza che le future generazioni potranno ancora ammirare (e forse anche amare) quelle bellezze che i nostri lontani progenitori vollero creare un tempo a protezione delle loro anime e della loro terra, patrimonio comune di un popolo ma anche testimonianza e memoria di un'epoca che consapevolmente essi vollero eternare.
Quasi tutto il comune di Scandicci compreso in un triangolo ai cui vertici sono situate tre popolose e ricche pievi: S.Giuliano a Settimo, S.Alessandro a Giogoli e S.Vincenzo a Torri; e un'abbazia, la Badia a Settimo.
Su questo territorio abbiamo indicato tre itinerari che ci offrono un panorama pressoché completo dell'arte a Scandicci più una sezione che comprende le schede biografiche dei maggiori maestri che hanno lasciato la loro testimonianza artistica.
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Alessandro Bencistà
ARTE NEL CONTADO
Itinerari nel Chianti fiorentino alla scoperta dei maestri minori
STUDIUM EDITRICE, Radda in Chianti 1987 *Con il contributo dell'Amministrazione Provinciale di Firenze
Già dal secolo XIII grandi ma anche oscuri maestri avevano portato un contributo fondamentale al rinnovamento dell' arte che si stava affermando nelle maggiori città, che spesso erano il punto di riferimento per una rivoluzione che fu definita "opera di genio". Questi maestri non furono attivi solo all'interno delle mura cittadine ma estesero ben oltre quelle mura il messaggio l'influenza dell'arte e della cultura toscane tanto che ancora oggi si può ammirare capolavori piccoli e grandi fra i campi e le colline, intorno e all'interno dei piccoli centri.
I grandi saranno presto accolti e ricopriranno incarichi prestigiosi nelle città egemoni, come Firenze e Siena, ma spesso saranno loro commissionate opere d'arte anche nel contado, fra quelle genti che spesso contribuirono materialmente alla realizzazione di tavole o sculture per abbellire le loro chiese, fortemente sentite come un patrimonio comune, non solo spirituale; molti di questi maestri che sono spesso ricordati col nome del centro dove hanno lasciato la loro opera. Con questa breve guida vogliamo ricordare e segnalare a chi viene a visitare il Chianti piccoli capolavori, spesso semisconosciuti anche agli esperti.
La nostra ricerca vuole essere soltanto uno stimolo a non dimenticare la presenza di un notevole numero di opere d'arte ancora visibili ed uno stimolo a non dimenticarne la presenza, per non essere costretti in futuro, per vedere un'opera del Maestro di Vico l'Abate, o di Meliore recarsi fino al Metropolitan Museum di New York, ma al massimo fino a Tavarnelle o a Panzano.
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